Oltre due terzi delle aree forestali complessive del territorio modenese, il 69 per cento, sono a governo cosiddetto ceduo (indica il modo in cui il bosco viene rinnovato in seguito a tagli periodici), mentre l’11 per cento è a fustaia (si rinnovano per seme), costituito prevalentemente da rimboschimenti di origine artificiale e da cedui in avviamento all’alto fusto.
L’elevata presenza di cedui deriva dalla tradizione selvicolturale della montagna, che privilegiava questo tipo di utilizzo in quanto consentiva turni più brevi per la produzione di paleria, di legna da ardere e di legname per utensileria, che rappresentavano le esigenze forestali di gran lunga prevalenti delle popolazioni locali fino al secondo dopoguerra. Oggi la maggior parte di questi boschi si trova nella fase matura per un calo di utilizzo e si apre quindi l’esigenza di individuare appropriati modelli gestionali «tenendo conto – osservano i tecnici – che si profila un’inversione di tendenza con una crescita del mercato della legna da ardere e dei suoi derivati, come il cippato».
L’interesse del mercato verso le fonti energetiche rinnovabili, quindi, «rende necessaria – sostengono i tecnici – una riflessione sulla gestione delle risorse forestali, come anche indicato negli strumenti regionali di pianificazione settoriale».
La Carta forestale indica anche le aree che sono state percorse da incendi (quasi 30 ettari, 19 dei quali nel solo comune di Riolunato), gli arbusteti, le aree temporaneamente prive di vegetazione a causa di frane o altri danni, così come i castagneti da frutto coltivati (289 ettari: 51 dei quali a Zocca, 43 a Pavullo, 41 a Fanano), gli altri impianti di arboricoltura (800 ettari: 141 a Modena, 100 a Mirandola, 51 a Carpi) e i parchi e i giardini storici (67 ettari).