Parli di “rezdore”, e subito pensi alle ricette: dai tortellini in giù, passando attraverso le proverbiali “cose buone” della cucina modenese. In effetti, la ricerca promossa dalla Provincia di Modena e realizzata da Slow Food passa in rassegna decine e decine di piatti della tradizione. Alcuni sono di uso comune, e quasi quotidiano, ancora oggi: dalle tagliatelle alle paste ripiene (tortelli di zucca, tortelloni, rosette e innumerevoli altre varietà), dai passatelli al gnocco fritto, dalle crescentine al pollo alla cacciatora. Ci sono, è ovvio, i tortellini, anche se rischia di rimanere deluso chi cerca “la” ricetta: ce ne sono infinite versioni, perché ogni famiglia interpreta il ripieno a modo proprio.
Ma sono numerosissime le ricette meno conosciute, se non quasi estinte. Cibi che non fanno più parte dell’alimentazione delle nuove generazioni, e che sono poco conosciute anche da quella di mezzo. Ad esempio i piatti della tradizione contadina che utilizzano le materie povere come il sangue, le interiora degli animali, le rane. Un capitolo a parte meriterebbe la castagna: minestre e zuppe, frittelle, frittellozzi, mille modi per cucinare quello che nei periodi di miseria era una sorta di alimento-salvavita.
E poi i prodotti impastati: dal pane fatto con il lievito madre alle crescentine nelle tigelle, dal gnocco fritto a quello cotto sotto le braci, ingrassato o farcito (con l’uva, il melone o addirittura l’anguria), la torta degli ebrei e la torta di frumentone. Ricette che difficilmente si trovano sui libri di cucina: dalla ministra “vedova” (di condimento) alle frittelle con l’anima (di baccalà), dalla sulada ai maccheroni al ciccin. Per arrivare ai dolci: dal bensone alla zuppa inglese, senza trascurare il croccante confezionato dalle suore Cappuccine del convento di Fanano in stampi del ‘700, con una ricetta della stessa epoca, cotto nella stufa a legna. La ricetta – spiega suor Mariangela – «non è segreta, si tratta di indovinare una proporzione corretta tra mandorle e zucchero. Questa noi non la diciamo».
Ma quello del croccante è l’unico segreto rimasto tale in questo viaggio attraverso la cucina modenese. Tutti gli altri, le rezdore intervistate li hanno svelati. In alcuni casi a parole, in molti altri passando ai fatti. Cioè ai fornelli, davanti alla telecamera. Perché spiegare a voce è un conto, ma vedere il movimento delle mani e del corpo è un altro. Non basta la parola.