Ucraina, con un’età che si aggira tra i 44 e i 50 anni, un titolo di studio medio alto e una famiglia che l’aspetta a braccia aperte di ritorno in patria. E’ questo il profilo della badante tipo che lavora nella provincia di Modena, come emerge dall’indagine “Da badanti ad assistenti familiari: una pluralità di ruoli, un’attività da qualificare”, promossa dalle Consigliere di parità della Provincia di Modena e realizzata lo scorso anno a cura di Catia Iori con la collaborazione di Monica Russo.
Se quantificare il fenomeno del cosiddetto “badantato” non è semplice, perché parte del personale coinvolto nel lavoro di assistenza e collaborazione familiare è privo di una copertura contrattuale, ed è conteggiato nel più generale gruppo dei “lavoratori domestici”, è altrettanto vero che secondo i dati forniti dall’Inps risalenti al 2006 si stima che il numero complessivo delle badanti ammonti a 3.940. A tale cifra bisogna aggiungere la quota, difficilmente identificabile, di lavoro irregolare e sommerso.
È in particolare ai figli che sembra dedicato il sacrificio della migrazione: attraverso le cospicue rimesse inviate in patria, infatti, i figli possono completare gli studi, cercare un lavoro, e assicurarsi un futuro più stabile in un paese che molto spesso ha visto aumentare vertiginosamente il costo della vita. Con le rimesse inoltre queste lavoratrici si assicurano una stabilità anche in termini di residenza: parte della rimessa infatti spesso è destinata alla costruzione di una abitazione per la famiglia, o per il nucleo familiare dei figli, che, ormai adulti, hanno a loro volta costruito una propria famiglia. L’elemento caratteristico della storia di queste lavoratrici è l’essere pioniere del progetto migratorio: la maggior parte delle intervistate, infatti, è partita da sola, e non è stata raggiunta né dal marito né dai figli. Trattasi, come si è avuto modo di vedere, di quelle che già in altri studi sono state definite migrazioni “di scopo”, ossia movimenti di persone – inserite in famiglie stabili – mirati all’accrescimento delle risorse e al miglioramento delle condizioni di vita del proprio nucleo familiare.
La scelta di Modena, così come avviene spesso per la cernita dei luoghi di destinazione da parte di coloro che si muovono per lavoro da un paese straniero, è prevalentemente guidata dalla presenza di una rete amicale o parentale già consolidata sul territorio. La propensione a mantenere i contatti con i propri concittadini è un dato che obbliga a una riflessione: anche quando consultate in merito all’esigenza di spazi di condivisione del proprio tempo libero, molte intervistate dimostrano un certo “sospetto” verso l’ipotesi di avere spazi aperti a tutti i gruppi. Il pregiudizio che alcune donne nutrono verso “colleghe” di altri paesi è riconducibile con molta probabilità al desiderio di rivivere “casa”, di accorciare le distanze geografiche e temporali con il proprio contesto di provenienza, e di ricostruire quel bagaglio di usi e tradizioni che accomuna solo che appartiene al proprio ambiente culturale.
Trattandosi in gran parte di donne sole, l’esigenza di spazi in cui condividere il proprio tempo libero con altre lavoratrici emerge da molte interviste, ma mentre le più adulte sottolineano la necessità di luoghi riscaldati in cui poter cucinare e trascorrere il tempo assieme a connazionali, le più giovani evidenziano invece l’esigenza di spazi più articolati, che oltre alla possibilità ricreativa, offrano anche servizi di supporto concreto.
La soluzione chiave, emerge dalla ricerca, potrebbe essere uno spazio in cui le due funzioni, quella ricreativa da un lato, e quella informativa e di sostegno dall’altro, si uniscano; un luogo in cui non ci si limiti a ricreare la propria “identità”, ma in cui la presenza di servizi concreti consolidi le potenzialità di integrazione e la conoscenza del tessuto locale, e dei servizi ulteriori che questo offre. Non a caso infatti alcune donne richiedono servizi che già, in parte o in complesso, esistono, ma che molte di esse ignorano. La scarsa conoscenza dei servizi offerti dalle istituzioni e associazioni del territorio, siano essere pubbliche, private o no profit, è, come si è visto, indicatore della inadeguata comunicazione esistente in merito a quanto già attivo nella provincia di Modena per venire incontro a molte esigenze della popolazione immigrata. L’estremo impegno orario di queste lavoratrici, inoltre, non consente spesso di usufruire dei servizi esistenti, e un luogo aperto nei momenti di riposo potrebbe certamente aiutare queste lavoratrici a sentirsi meno isolate.