L’Appennino modenese fu un rifugio sicuro per gli ebrei che a iniziare dal 1943 fuggirono dalle città e cercarono riparo sulle montagne, così come per numerosi ebrei di nazionalità straniera che già si trovavano in Italia in condizioni di “internati liberi”. Il giornalista e scrittore Walter Bellisi ha documentato la presenza in Appennino di un’ottantina di ebrei italiani in quel periodo, mentre gli stranieri erano 84 nel maggio del ’43, per scendere poi a 72 in settembre.
Quelli arrestati furono tre italiani a Montefiorino e due stranieri: uno a Gaiato di Pavullo e uno a Montetortore di Zocca. La presenza di ebrei è segnalata, però, un po’ in tutto l’Appennino, nei centri principali e nelle frazioni: da Guiglia a Montese, da Pavullo a Montecreto, da Fanano a Sestola, fino a Serramazzoni, Pieve, Fiumalbo, Lama e Frassinoro.
«In montagna, come in pianura – ricorda Bellisi – quasi in modo spontaneo, sorse una fitta catena di solidarietà che vide insieme preti cattolici, partigiani di qualsiasi colore, semplici contadini, ma anche podestà e funzionari pubblici. Molti ebrei così vennero salvati, altri invece finirono nelle camere a gas dei campi di sterminio».