Burattino deriva da “buratto” o burazzo”, cioè straccio, una stoffa di canapa che serviva per setacciare le granaglie quando si mischiavano sull’aia dove erano messe ad essiccare. La canapa veniva macerata, filata e sbiancata al sole, e con questa stoffa si facevano i vestiti.
Nell’antichità, il burattino era dunque il divertimento dei poveri, “inventato” nelle campagne durante le lunghe e fredde notti d’inverno. I contadini intagliavano nei ciocchi di legno le teste e le mani, le mogli cucivano i vestiti e tirando una corda tra una colonna e l’altra della stalla facevano i burattini per il proprio contado.
Drammi, farse, commedie traevano origine da storie di briganti, racconti popolari, pagine dell’epopea risorgimentale ma anche da testi letterari, romanzi storici e d’appendice, melodrammi. Molto era affidato all’improvvisazione, stimolata dal pubblico di ogni età.
Il burattino è costruito come una sorta di guanto di stoffa al quale vengono fissati testa e mani di legno. L’artista infila l’indice nella testa, il pollice in un braccio e le altre tre dita nell’altro dando così il movimento, anzi la “vita” al burattino.
I protagonisti sono quelli della tradizione popolare: personaggi generici come gendarmi o briganti, ma soprattutto maschere.
Le figure più conosciute della tradizione modenese ed emiliana sono Sandrone e Fagiolino, entrambi senza maschera perché ideati durante il periodo napoleonico, quando era l’uso era vietato perché sotto di essa poteva celarsi un nemico o un ricercato.
Sandrone, maschera del Ducato di Modena, è il rozzo contadino dalle scarpe grosse e dal cervello fino. Giubba scura e panciotto a pallini, guance rubizze, rappresenta la furberia e il buon senso. Fagiolino, birichino bolognese, è il vero eroe della piazza, pronto a fare “giustizia” a suon di randellate, dalla scarsa cultura ma dall’intelligenza veloce.