Narra una leggenda azteca che una principessa, lasciata a guardia delle ricchezze dello sposo, fu assalita dai nemici che invano tentarono di costringerla a rivelare dove fosse nascosto il tesoro. Per vendetta la uccisero e, dal sangue versato dalla fedele sposa, nacque la pianta del cacao il cui frutto nasconde un tesoro di semi amari come le sofferenze dell’amore, forti come la virtù, lievemente arrossati come il sangue.
Leggende a parte, sappiamo dai botanici che l’albero del cacao – alimento al quale è dedicato il Simposio di Pavullo che si svolge dal 13 al 17 aprile – cresceva spontaneo già 4.000 anni prima di Cristo nei bacini dell’Orinoco e del Rio delle Amazzoni. I primi a coltivarlo furono probabilmente i Maya, che lo introdussero nello Yucatan durante le migrazioni del XVII secolo avanti Cristo. Dai Maya la coltura si diffuse più a sud, nell’attuale Messico.
La bevanda ottenuta dal cacao diventò poi nel 1200 la preferita alla corte dell’imperatore Montezuma. Quando nel 1492 Cristoforo Colombo scoprì l’America, scoprì anche i semi del cacao e li portò alla corte del re Ferdinando di Spagna, dove però non risultarono particolarmente apprezzati a causa del loro sapore amaro. Fu soltanto nel secolo successivo che l’esploratore spagnolo Cortes, durante la conquista del Messico, intuì la preziosità del cacao e impiantò una piantagione, primo esempio di coltura da esportazione. Gli spagnoli seguirono la ricetta degli Aztechi, aggiungendo però peperoncino e spezie piccanti.
Nel ‘600 il cacao arriva in Francia e il cioccolato diventa una bevanda molto alla moda: alla fine del secolo è già ampiamente diffuso in Belgio, Germania e Svizzera; poco dopo in Austria e Italia. Nel 1875 lo svizzero Daniel Peter riesce ad aggiungere al cioccolato del latte condensato ottenendo così un cioccolato al latte in forma solida che si può mangiare, dando il via all’uso più comune che ancora oggi si fa di questa prelibatezza.